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D'Annunzio, Gabriele - Vita ed Opere

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    D'Annunzio, Gabriele - Vita ed Opere

    Gabriele D'Annunzio
    Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara nel 1863, studiò a Prato nel liceo Cicognani e, nel 1881 si trasferì a Roma per iscriversi alla facoltà di lettere. Intanto aveva pubblicato la sua prima opera, Primo Vere (1880) e, due anni dopo, Canto Novo. Nel 1897 fu eletto deputato e, nel 1910, si trasferì a Parigi per sfuggire ai creditori. Intanto pubblicò Il piacere, Francesca da Rimini e le Laudi. All’inizio della prima guerra mondiale D’Annunzio si pose a capo del movimento interventista e partì come volontario per il fronte. In guerra si ferì ad un occhio e scrisse Il notturno (1916) poi, alla fine della guerra, divenne il protagonista dell’impresa di Fiume e, in seguito, si ritirò nella sua villa di Gardone.
    D’Annunzio morì nel 1938.

    L'attività letteraria
    La poesia dannunziana risente dei simbolisti francesi anche se D’Annunzio ammirò e imitò la poesia italiana, quella inglese (Shakespeare) e, in seguito, inventò un linguaggio nuovo dove sogno e realtà si confondono e dove si avverte il senso del mistero decadente (come, ad esempio, nella pioggia nel pineto). Un’altra caratteristica della lirica dannunziana è quella del panismo, la capacità di abbandonarsi al ritmo della natura. La sua poesia si distingue per la ricercatezza dello stile e della parola, scelta per il suono che riproduce e per la sua musicalità.

    La Prosa
    Nel campo del romanzo, D’annunzio compose tre cicli:
    * Il ciclo della Rosa (tra cui il piacere) con il tema della voluttà
    * Il ciclo del Giglio, con il tema del superuomo
    * Il ciclo del Melagrano con il tema della bellezza

    Il Teatro

    A partire dal 1896, D’Annunzio iniziò a dedicarsi al teatro. Anche se i suoi lavori avevano sempre come protagoniste attrici famose come Eleonora Duse, Irma e Emma Gramatica, questa attività non ebbe grande successo. L’unico vera opera di successo in questo settore fu La figlia di Iorio (1903) che ebbe come protagonista Irma Gramatica.



    Vita e opere
    Nasce a Pescara nel 1863, da una famiglia benestante che gli permette di frequentare i collegi più esclusivi. D’Annunzio rivela il suo genio poetico fin da giovane: nel 1879 pubblica “primo vere”, e nel 1882 “canto novo”; due raccolte di poesie basate sul modello di Carducci. Va a Roma per frequentare l'università, ma non la segue molto frequentemente, preferisce infatti collaborare con giornali e riviste; ricordiamo il lavoro con “cronaca bizantina”, una rivista letteraria di stampo
    decadente, e l’esperienza sia come giornalista che come critico mondano. Negli anni successivi pubblica una vasta serie di romanzi, tra i quali “il piacere” edito nel 1889, il cui protagonista è Andrea Sperelli, un nobile esteta, che segue un modello di vita simile a quello di Dorian Grey, e nutrendo forte disprezzo nei confronti della massa ha la consapevolezza di vivere al di sopra di essa; “L'innocente” del 1892, tratta sempre il tema dell’eroe esteta e della nobiltà (ricordiamo però che questi personaggi, nella loro ricerca di una vita esteta ideale, verranno sempre sconfitti); e “Le vergini delle rocce” pubblicato nel 1895, in cui D'Annunzio afferma il suo modello di superuomo,

    creato rielaborando le idee Nietzche da cui, secondo molti critici, il poeta ha preso solo la parte più superficiale. A causa della sua vita mondana e sregolata, che lo costringerà a spese troppo esose, sarà costretto a scappare da Roma, inseguito dei creditori.
    Si stabilisce prima a Napoli, poi a Firenze dove acquista la villa la de “la Capponcina”. In questo periodo si sposa, ma tradirà molto spesso la moglie. Attirato più dalla fama che da vero interesse; nel 1897 entra in politica diventando deputato
    dei socialisti; nonostante questo non si interessa minimamente dell'incarico e farà molte azioni vistose, che culmineranno con un clamoroso abbandono del Parlamento nel 1900, durante il quale manda tutti platealmente “a fare in culo”, terminando di fatto la sua carriera politica. Nella fase fiorentina inizia una relazione con Eleonora Duse, la più grande attrice italiana di quegli anni, con la quale stringe anche un sodalizio letterario, iniziando a comporre tragedie: ricordiamo “La città
    morta” del 1900; “Francesca da Rimini” del 1901 e “la famiglia di Iorio” del 1904 che gli daranno un successo grandissimo. Nel 1902 pubblica la raccolta di novelle “novelle della Pescara”, anche se apparentemente quest’opera può sembrare ricalcare lo stile di Verga, in realtà c'è un abisso tra i due: Verga infatti è verista, tratta delle persone vinte nel loro tentativo di migliorarsi e descrive freddamente la situazione di disagio della seconda metà dell’ottocento. D'Annunzio, invece, anche se parla delle vicende di un gruppo di pastori abruzzesi, in realtà, li esalta come popolo ideale, non
    corrotto ed eroico. Nel 1904 rompe la relazione con Eleonora, smettendo così di comporre tragedie.
    D’Annunzio vive a una vita sempre più sregolata e burrascosa, tanto che nel 1910 è di nuovo costretto a scappare a causa dei debiti e dovrà rifugiarsi in Francia per un certo periodo. In questi anni compone la raccolta di poesie “Le laudi”. Alla vigilia della prima guerra mondiale scrive molti articoli sul Corriere della Sera dove dichiara la sua netta posizione a favore degli interventisti. Nel 1915 si arruola come volontario nell’aviazione italiana e sarà artefice di molte azioni vistose; tra cui la più importante fu il volo su Vienna. Durante la guerra ha un incidente, in cui perderà la vista da
    un occhio; nel periodo di riabilitazione è costretto a stare al buio e in questo tempo scrive un’opera intitolata “notturno”, in cui fa una grande ricerca introspettiva. Nel 1820, con un gruppo di volontari decide di partire per liberare la città di Fiume, riuscirà nell’impresa, ma, l’anno successivo il governo italiano lo costringe ad abbandonare la città. In questi anni sale al potere Benito Mussolini; i due, nonostante abbiano idee politiche abbastanza simili, sono molto diffidenti l’uno nei confronti dell’altro. Per questa ragione D'Annunzio sceglie di non diventare poeta del regime; e si ritira a vita privata nel “Vittoriale”,una villa sul lago di Garda fatta costruire come una sorta di monumento autocelebrativo. In questo periodo scrive un elogio alla campagna d'Etiopia e una satira contro Hitler. Forse a causa della droga, un giorno cade dalla finestra della sua casa; l'incidente gli procurerà vari problemi fisici e una serie di dolori grandissimi a causa dei quali si isolerà sempre più dal resto del mondo e, nonostante un grandissimo seguito di fan, muore nel 1938
    completamente solo.

    Inquadramento storico
    D’Annunzio è uno dei più significativi poeti italiani del novecento, a lui va il merito di aver importato in Italia una ventata di rinnovamento, proponendo un nuovo tipo poeta, che impersona l’eroe decadente esteta da lui stesso narrato. Durante la sua vita si è cimentato in tutti i generi letterari; i critici pensano che questo possa essere avvenuto per due ragioni: o perché non è riuscito a trovare la sua strada a causa di una personalità irrequieta, o perché, soffrendo di delirio di onnipotenza, credeva di essere capace di fare qualunque cosa. Questo poeta è vissuto in un momento storico molto intricato: la prima guerra mondiale aveva causato il rafforzamento dell'industria, soprattutto nel Nord Italia, portando alla nascita di problemi sociali, legati sia la classe operaia, sia a quella borghese. La borghesia, infatti, cercava di restare in una posizione di mediocrità, per ottenere un periodo di stasi in cui poter risolvere i propri problemi. Per questo motivo molti borghesi avevano aderito pieni di speranza al positivismo. D'Annunzio troverà proprio tra queste persone il massimo consenso. Lo sviluppo della tipografia, aveva poi reso molto diffusi sia i giornali di gossip, sia i libri basso prezzo. Grazie a questi D'Annunzio diventa strafamoso, sia
    per la sua vita privata, che sia per le sue opere. I borghesi vedono in lui l'incarnazione dei personaggi narrati nei suoi libri.



    D'Annunzio, Gabriele - Poetica e Influenze
    Breve cenno su Gabriele D'annunzio e sugli autori che particolarmente lo influenzarono nella sue poetica


    Gabriele D'annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863, terzo di cinque fratelli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. All’età di 11 anni frequentò il liceo al prestigioso istituto Cicognini di Prato, dove all’età di 16 anni finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere una raccolta di poesie che ebbe presto successo. Dopo aver terminato gli studi liceali, si trasferì a Roma dove il particolare ambiente culturale e mondano della città furono decisivi per la formazione dello stile comunicativo di D'Annunzio. Le sue prime esperienze poetiche sono rintracciabili nelle raccolte Primo vere (1897), e Cantonovo (1882), in cui si ispira a due intellettuali a lui contemporanei: Giovanni Verga e Giosuè Carducci.

    • Giosué Varducci = Di lui raccoglie la concezione aristocratica della poesia e il “senso pagano dell’esistenza” . Infatti, nonostante nelle sue liriche si siano richiami al cristianesimo, l’orientamento è laico; indugia solamente sul rapporto intimo con la natura, avvertendosi creatura dell’Universo integrata con il suo mondo (panteismo naturalistico)

    • Giovanni Verga = Di lui recupera la descrizione della propria terra d’origine e l’attenzione per gli umili, che per D’Annunzio coincidono con il mondo pastorale. Tuttavia, nonostante gli sfondi e personaggi siano simili, allo stesso tempo differiscono perché, mentre Verga si propone come realista delineando una natura reale, D’Annunzio, sulle orme della tradizione, riflette un quadro idilliaco in cui si inserisce la componente erotica, quasi animalesca, in riferimento ad una primitività dei sentimenti.

    fonte:http://www.skuola.net/

     
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    Decadentismo - Gabriele D'Annunzio

    Decadentismo

    Il decadentismo è un movimento culturale di grande portata, nascerà in Francia attorno al 1800 per poi diffondersi in altri paesi europei come la Germania, il Regno Unito, la Russia e l’Italia.
    Si tratta di un momento particolare della storia europea, in pieno boom economico, alle porte della belle époque che, paradossalmente, porterà all’avvento della prima guerra mondiale.
    Il termine decadentismo appare per la prima volta sulla rivista Le Decadent, la quale vuole sottolineare la situazione di crisi ed il senso di disagio avvertiti dall’uomo di quel periodo.
    Nasce così un movimento che all’ inizio presenterà un’ accezione negativa.
    Di fronte ad una profonda frattura tra individuo e società, di cui l'uomo comincia a non comprendere le logiche, le dinamiche, i valori, la letteratura, si pone come espressione della crisi umana in atto.

    Il decadentismo nasce quindi dalle ceneri di una crisi sociale che vede coinvolte la classe borghese e quella proletaria.
    Il proletariato sta vivendo in un clima difficile, vuole rivendicare i propri diritti, allo stesso momento l’industria condiziona drasticamente la vita umana. Si comincia a parlare di taylorismo, dal nome di colui che introdusse per la prima volta nell’industria il programma di ottimizzazione del processo produttivo, inaugurato dalla catena di montaggio e dai turni di lavoro. Ora l’operaio è sottoposto a ritmi di lavoro pesanti, viene spersonalizzato, quasi alienato nella macchina che fagocita ogni emozione umana.

    Gli uomini sono sempre più frustrati e insoddisfatti.
    Il decadentismo nasce anche da una crisi culturale, la cultura del positivismo.
    Comincia a diffondersi la consapevolezza che la ragione, tanto decantata dai positivisti, non sa dare una spiegazione allo stato di inquietudine dell’animo umano. Al contrario, viene riscoperta la dimensione interiore dell’Io che coincide con l’inconscio.
    È all’interno dell’inconscio che hanno sede quegli istinti a cui è difficile dare una risposta razionale e che sfuggono al controllo della ragione.
    La corrente del positivismo aveva analizzato una realtà contingente, mossa dal desiderio di dominare ogni pulsione, ora il modo di indagare cambia in favore di una dimensione misteriosa, dove agiscono forze irrazionali.

    Attraverso intuizioni soggettive i decadenti cercano di sondare la realtà interiore.
    Bergson afferma che “Non si può avere la presunzione di inscatolare l’esistenza umana in schemi fissi, la vita è slancio vitale”.
    La forma incastra l’uomo e non lo lascia essere libero, con Bergson ci si apre verso una nuova forma di coscienza secondo cui tutto agisce in assenza di una consequenzialità logica, tutto si compenetra. Il tempo della coscienza non è quantico, il passato si confonde con il presente, all’infuori di schemi diacronici. Il linguaggio della coscienza sarà quello onirico.
    Nascerà così il romanzo psicologico.
    Mentre nel romanticismo si parlava di coscienza, valori dello spirito, qualcosa che arricchiva la persona anche al di là della sconfitta, favorendo il senso di integrazione sociale, nel decadentismo al posto del sentimento subentra l’inconscio, al cui interno agiscono istinti irrefrenabili, che generano angoscia e sgomento.
    A detta del critico Carlo Salinari possiamo individuare due fasi caratterizzanti questo movimento.
    la prima fase vede autori e poeti che cercheranno di colmare quel vuoto di valori spirituali riponendo la loro fiducia nei cosiddetti miti.
    I miti sono pseudo-valori, vissuti in piena soggettività ed egoismo. Non hanno nulla a che fare con la collettività.

    Mito dell’estetismo: consiste nella convinzione che si debba “costruire la propria vita come si costruisce un’opera d’arte”, rifugiandosi in una vita fatta di raffinatezze, intessuta di particolarismi, cose rare ed eccezionali. In poche parole, proporsi una vita all’infuori della quotidianità, cercando di cogliere ogni situazione che possa donare sensazioni straordinarie.

    Mito del superomismo (Nietzsche): tratto dal pensiero nietzschiano e incarnato in primo luogo da artisti quali D’Annunzio e Wilde, questo mito si carica di accezioni diverse, alle volte piuttosto distanti da quella originaria. E’ volto a celebrare l’uomo impavido e spregiudicato, colui che si erge al di sopra di tutto e di tutti, della morale comune e di ogni convenzione, realizzandosi nella sua piena e totale libertà.
    L’imperativo categorico sarà “Io voglio”, non più il “Tu devi”, ed è in questo esaltare gli istinti vitalistici che l’uomo realizza se stesso.
    Mito del fanciullino: solitamente associato al Pascoli, professa una visione fanciullesca del mondo, ingenua.

    Quello della seconda fase, a cui appartengono Svevo e Pirandello, è un decadentismo più rassegnato, che non lascia trapelare alcuna soluzione al male di vivere. E' una fase più negativa rispetto alla prima, in cui, perlomeno, gli autori si rifugiano nei miti.


    Gabriele D'Annunzio

    Nasce a Pescara nel 1863, non vi rimarrà a lungo: si trasferisce a Prato dove studierà presso il collegio dei Cicognini. Dopo aver conseguito il diploma di maturità si stabilisce a Roma e qui lavora come giornalista di cronaca mondana, in particolare per La Cronaca Bizantina, entrando in contatto con personaggi illustri del tempo, frequentando i salotti di un mondo elitario, aristocratico ed elegante.

    In questo periodo sposa la duchessa Maria di Gallese Harduin, notizie riguardo alla donna ne abbiamo anche al Vittoriale.
    Nel 1879 comincia a dedicarsi alla politica e presto viene eletto deputato alla Camera, dalla parte della destra poi dalla parte della sinistra.
    Si stabilisce a Firenze presso la villa Capponcina, regalatagli da Eleonora Duse, famosissima attrice teatrale, la quale perse letteralmente la testa per il più giovane D’Annunzio.
    Per l’uomo si apre un periodo all’insegna di spese esorbitanti, tanto che, indebitato, verrà spesso citato in causa in tribunale dai creditori.

    A questo punto D’Annunzio decide di evadere i suoi problemi spostandosi a vivere in Francia, e la Capponcina viene messa all’asta. Durante il periodo della sua permanenza francese scriverà il poema Le Martyre de Saint Sebastien (Il martirio di S. Sebastiano).
    Farà il suo rientro in Italia allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Intriso di fervori nazionalisti e promotore dell’intervento italiano in guerra, i suoi celebri discorsi gli consentiranno di esercitare grande influenza sull’opinione pubblica.
    Si arruola e viene mandato al fronte, innumerevoli sono le sue gesta tra cui l’Impresa di Vienna, in cui sorvolò il cielo della città distribuendo dal suo velivolo volantini tricolore, e la Beffa di Buccari, in cui, con una piccola flotta di antisommergibili MAS (Memento Audare Semper), sbaragliò la potenza austriaca presso la baia del Montenegro.

    Conclusasi la guerra D’Annunzio avvertirà tutta la delusione di un esito bellico affatto gratificante, che vedeva l’Italia esclusa dai trattati di pace (al di là di Trento, Trieste e il Tirolo non le furono concesse altri possedimenti).
    Radunerà così una squadra di volontari decisi ad occupare Fiume, che dal 1919 al 1921 sottostarà alla cosiddetta Reggenza Italiana del Carnaro.
    Mussolini deciderà di allontanare il più possibile la figura dell’intellettuale dagli affari di Stato, relegandolo al Vittoriale e coprendolo d’oro.
    Nel 1921 D’Annunzio si ritirerà al Vittoriale e vi rimarrà fino al giorno della sua morte, la sera del 28 marzo 1938, anno che vedrà poi il profilarsi l’alleanza italo-tedesca con la firma del Patto d’Acciaio.

    D’Annunzio si dedicherà a svariati generi letterari, esordirà come giornalista di cronaca mondana, attività che gli permetterà di frequentare gli ambienti raffinati della Roma bene dei tempi. In età giovanile metterà mano alla raccolta di poesie “Primo Vere” che lo faranno apprezzare da una consistente rappresentanza della critica letteraria.
    La sua produzione annovera anche alcuni titoli quali Il Piacere e L’Innocente.
    Quindi, con la pubblicazione della raccolta Le Laudi, assisteremo ad un nuovo passaggio dal D’Annunzio romanziere al D’Annunzio poeta.
    Il titolo di questa collezione di liriche (Le Laudi del cielo, del mare e della terra) si rifà all’opera francescana delle Laudes Creaturarum, consta inoltre di 5 sezioni, ognuna delle quali prende il nome di una stella della costellazione delle Pleiadi: Maia, Elettra, Alcyone, Merope e Asterope.
    Quindi si avrà la pubblicazione del poema Notturno, una raccolta di meditazioni e ricordi emblema della fase notturna, oscura che il poeta stava attraversando in seguito ad un incidente aereo.
    Conosceremo anche un D’Annunzio tragediografo con la stesura della Francesca da Rimini, La figlia di Iorio, La fiaccola sotto il Moggio.

    Il piacere
    Con il romanzo del Piacere, pubblicato nel 1889 dall’editore Treves, D’Annunzio andrà ad evidenziare un aspetto caratterizzante del decadentismo: il mito dell’estetismo. È a questo proposito che il romanzo viene considerato la Bibbia del decadentismo italiano.
    È il 31 dicembre 1886: Andrea Sperelli, giovane aristocratico e sorta di alter ego dell’autore, aspetta con ansia l'ex amante Elena Muti nella sua residenza romana a Palazzo Zuccari. Sono trascorsi ormai due anni da quando i due si congedarono e ora, nell'attesa che preluderà all’arrivo della donna, Sperelli torna con la memoria a scene di vita trascorsa insieme. Attraverso una descrizione attenta ad ogni particolare, quasi maniacale, il lettore assisterà all’allestimento della stanza, che Sperelli curerà come se dovesse quel giorno consumare un rapporto con Elena. All’ arrivo della donna, fra i due si alterneranno ricordo, ardore e di nuovo allontanamento e dolore. Verrà anche raccontato di come, dopo l'abbandono da parte di Elena, l’uomo si immergerà in un gioco di continue seduzioni, conquistando una dopo l'altra sette nobildonne.
    Ospitato dalla cugina Francesca di Ateleta nella villa di Schifanoja, sul mare, Andrea esce da una lunga agonia e inizia la convalescenza, in un'unione mistica con la natura e l'arte. Il 15 settembre 1886 arriva, ospite a Schifanoja, Maria Ferres con il marito, ambasciatore del Guatemala (che riparte subito), e la figlia Delfina.
    Andrea rimarrà presto sedotto dalla donna «spirituale ed eletta», antitesi della Muti, donna quasi alla maniera dantesca, d’una bellezza spirituale e pura. La loro amicizia sfocerà di lì a poco in una travagliata relazione che sarà destinata all’epilogo, una volta tornato il marito della donna.
    Irrequieto e pieno di amarezza, egli rincontra Elena Muti. L'attrazione per l'antica amante, nella sua nuova veste di provocatrice, e la fascinazione per Maria, nella sua ingenua purezza e fragilità, si intrecciano nel suo spirito. Respinto con durezza da Elena, Sperelli viene a sapere dagli amici della rovina del marito di Maria, sorpreso a barare al gioco. La donna si mostra forte di fronte al dolore di dover partire da Roma e separarsi quindi dall'amato, decidendo di rimanergli totalmente fedele. Andrea, al contrario, riesce a nascondere con sempre maggior difficoltà il suo "doppio gioco". Dopo aver visto Elena uscire di casa per andare dal nuovo amante, Andrea torna nel rifugio di Palazzo Zuccari, dove, durante l'ultima notte d'amore con Maria, pronuncia inconsciamente il nome di Elena.
    Maria, con orrore, lo lascia.

    Laudi
    Il titolo dell’opera ricalca quello di un’altra composizione poetica: le Laudes Creaturarum di S. Francesco. Così come fece il suo predecessore anche D’Annunzio esprimerà nel suo componimento la lode alla vita, precisamente evidenziata dal principio del panismo. Tale concetto viene mutuato dalla tradizione classica, secondo la quale Pan era dio del bosco, con l’intento di sottolineare la ricerca di quel contatto simpatetico e di comunione tra uomo ed elementi della natura, un contatto panico. L’uomo ricerca sensazioni che gli derivano dalla sintonia, dall’armonia con gli elementi della natura, espressione di emozioni vitalistiche.
    Il libro che meglio esprime il concetto di panismo è quello di Alcyone, in cui il tema predominante è l’ elogio della natura e, ancora meglio, l’ evocazione di ricordi che derivano dal rapportarsi con essa.

    La pioggia nel pineto

    Il poeta si trova, durante una giornata estiva, in compagnia di una donna chiamata Ermione. Tale nome, che richiama alla tradizione greca, aulico e musicale, potrebbe rappresentare uno pseudonimo scelto per rappresentare la Duse.
    La lirica verte sulla descrizione di una pioggia estiva nella pineta, colta nei vari momenti e nella diversa orchestrazione dei suoni. Il poeta e la donna amata sorpresi dalla pioggia, si abbandonano con gioiosa voluttà alla sua freschezza, imbevendosi dello spirito stesso del bosco, fino a sentirsi come trasformati in piante e frutti, in elementi della natura vegetale (come vuole il mito prende luogo la metamorfosi di Ermione in corteccia arborea).
    Il leitmotiv di questa composizione è da ricondursi al tema del panismo, la ricerca di un’intima fusione, di un rapporto simpatetico con gli elementi naturali, di un ritorno alle sorgenti primordiali della vita.
    In questo senso il paesaggio toscano è per il poeta fonte di ispirazione: la vita attorno è in sintonia con l’uomo, che da essa coglie tutte le sensazioni percepibili, trasferendole da ultimo nella sua lirica.
    Il nome Ermione riporta la mente all’epica classica, secondo la quale la fanciulla era una delle tante figlie di Priamo, inoltre si rivela una scelta particolare, dettata dall’effetto fonico che questo nome produce all’interno della lirica. La caratteristica più appariscente di questa poesia è proprio la musicalità del verso, ricercata attraverso l’uso di alcune figure retoriche. Per quanto riguarda lo stile verbale ricorre l’uso dell’imperativo di seconda persona: il rivolgersi ad un tu generico ci porta a credere che il poeta si rivolga ad Ermione, in questo caso da molti individuata nella figura della Duse.

    La donna si trovava in una fase calante dal punto di vista professionale, il poeta, al contrario, era all’apice della sua gloria poetica.
    D’Annunzio in questa lirica cerca di riprodurre il linguaggio segreto della natura: i suoi profumi, colori, suoni.
    Parole nuove: che nulla hanno a che fare con il linguaggio umano;
    Tamerici: cespugli di sottobosco, cariche di salsedine per la vicinanza al mare;
    Mirti divini: pianta sacra a Venere;
    Coccole: bacche profumate del ginepro;
    Tutte le piante sono frutto di una particolare ricerca: ginepro, mirto, ginestra.
    L’anima si rinnova, grazie anche all’effetto purificatore della pioggia che monda: la metamorfosi in elementi della natura sta prendendo inizio.



    Taci, ascolta, odi: climax lessicale;
    La pioggia suscita gioia;
    Virente: quasi verde, segno che la metamorfosi si sta compiendo, fino a diventare un tutt’uno con l’essere umano;
    La parola diventa musica, si palesa una fonica intrisa di allitterazioni (piove, pini…) e assonanze (salmastre, arse…).
    Individuiamo alcuni enjambement, ad esempio foglie/lontane, e parallelismi: che oggi m’illude, che ieri t’illuse.

    La sera fiesolana
    In una sera estiva il poeta si trova con la donna amata (non si sa chi nel particolare) in territorio fiesolano, intento a contemplare il paesaggio collinare, tipico delle zone fiorentine.
    Il poeta descrive le emozioni vissute in compagnia della donna sul far del crepuscolo, frutto di quel contatto panico con gli elementi vitalistici del paesaggio serale.

    Si tratta di una poesia di forte impatto emotivo, il linguaggio è analogico e fortemente musicale. È evidente nel ritornello l’impronta delle Laudes Creaturarum, a cui D’Annunzio si rifà, particolarmente ispirato dal misticismo francescano, qui riproposto in un’intrecciata trama con il tema del panismo.
    Assistiamo alla personificazione della sera, l’effetto contrario emerso nella Pioggia nel pineto.
    Attraverso l’espediente della sinestesia il poeta lascia intendere al lettore di come le proprie parole debbano giungere fresche all’amata, così come le fresche e umidi foglie del gelso producono nella mano di chi le coglie più sensazioni (uditiva: fruscio, e tattile: umidità).

    Le immagini si susseguono senza una logica interna: dai due amanti si passa al fruscio delle foglie del gelso colte dal contadino, alla scala che sotto la luce lunare provoca un particolare gioco d’ ombre (novelli rosei diti: boccioli).
    Sotto la luce soffusa della luna i due consumano il loro momento d'amore.

    I pastori
    Si discosta leggermente dalle precedenti liriche in quanto il tema principale non è più quello del panismo d'annunziano, messo a punto attraverso l’ampio uso della sinestesia, bensì il motivo autobiografico e della transumanza.
    D’Annunzio ricorda la terra natia, sullo sfondo di un paesaggio abruzzese.
    Ripropone così un’usanza dei suoi pastori (aggettivo possessivo in senso affettivo), che a settembre, assieme alle greggi, lasciano i pascoli montani, verso gli stazzi di pianura.
    Nel ricordare le esperienze della sua infanzia, alla mente del poeta si ripresentano lontane emozioni: l’uomo sembra riassaporare quel sapore d’acqua alpestre, una sorta di conforto per il suo cuore esule. Il mare splende verde come i pascoli sui monti (analogia cromatica), sembra quasi di sentire la voce di colui che per primo giunge al litoral costiero, con il suo tremolio d’onde (verso ripreso dal primo canto del purgatorio: “Conobbi il tremolar de la marina”). E sopraggiungono il rumore del calpestio sulla sabbia e dello sciacquio dell’onda, sensazioni rese attraverso l’uso di due onomatopee, figura retorica molto usata nella poesia di fine Ottocento.
    La lirica si conclude con un richiamo nostalgico da parte del poeta a queste sensazioni, che vorrebbe ancora poter condividere con i suoi pastori.
    La nostalgia (dal gr. nostos: ricordo; algos: dolore) assume connotazione negativa: è il dolore del ricordo.
    Il tema è quello della transumanza, un evento ricorrente che in un certo senso rispecchia il ciclo della vita.
    Nel testo sono inseriti alcuni termini ricercati e arcaismi: stazzi, vestigia da vestigium (traccia, orma) termine che allude all’ ereditarietà di questo lavoro.
    Verga d’ avellano: bastone di nocciolo.

    Tragedie
    D’ Annunzio scriverà molte tragedie, alcune delle quali rappresentate tutt’ora nei teatri italiani.
    Molte di queste furono composte affinché fosse la Duse ad interpretarle (è anche per merito di lei che comincerà ad essere conosciuto come tragediografo).

    In diverse tragedie rintracciamo la componente superomistica, che vede l’individuo porsi sopra ogni cosa, al di là di ogni convenzione morale, per esercitare appieno la propria libertà. Emblema di questa ebbrezza dello spirito è la dimensione dionisiaca, che si contrappone allo spirito apollineo, razionale.
    Ecco alcuni esempi di tragedie.

    La fiaccola sotto il moggio
    Il titolo è emblematico: il moggio è un recipiente in pietra graduato, utilizzato nell’ antichità per misurare il grano.
    In quest’opera viene ripresa una scrittura dal vangelo di Matteo l’Evangelista: “Non mettete la fiaccola sotto il moggio”, al contrario bisogna lasciare che risplenda della propria luce sopra il candelabro.

    L’allusione è rivolta alle virtù umane, che non devono rimanere nascoste, ma manifestarsi come testimonianza di fede.
    La tragedia è incentrata sulle vicende di casa Sangro, nobile famiglia abruzzese caduta in rovina, la quale si trova a vivere in un ambiente decadente, simbolo del degrado della stessa famiglia.
    Un giorno la moglie viene scoperta morta in soffitta, dove si era recata alla ricerca di alcuni oggetti in un antico baule. L’idea che il baule le abbia giocato un colpo letale, intrappolando la vittima sotto il pesante coperchio, è la più accreditata tra i famigliari, anche se la figlia non condivide la stessa opinione. Ciò che la farà credere diversamente sarà il matrimonio tra il padre e la domestica Angizia, che si terrà di lì a qualche giorno.
    La tragedia si articola su una fitta trama di passioni turbolente e tentativi violenti che porteranno la figlia Giliola a compiere un omicidio finale.
    Verranno così a presentarsi dimensioni crudeli e selvagge, caratteristiche di una vita primordiale, di un mondo d’istinti sfrenati che portano l’uomo a non controllare le proprie azioni.

    La figlia di Iorio
    Si tratta della vicenda di un pastore, Aligi, il quale, nel giorno delle sue nozze, vede comparire presso casa sua una certa Mila, donna dalle arti malefiche, inseguita da alcuni contadini che la vogliono torturare. Immediatamente l’uomo rimane talmente ammaliato dalla sua bellezza da decidere di scappare con lei.

    Subentra così il padre dell’uomo, che, invaghitosi a sua volta della “strega”, tenta di violentarla. A questo punto Aligi, per proteggere Mila, arriva ad uccidere il padre, macchiandosi di patricidio e destinandosi al rogo. La ragazze accoglie su di sé ogni colpa e si sacrifica al posto suo.

     
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    La pioggia nel pineto - Gabriele D'Annunzio
    Testo e analisi della lirica d'annunziana in versi liberi, rivolta alla donna amata citata sotto lo pseudonimo Ermione

    La pioggia nel pineto
    Taci. Su le soglie
    del bosco non odo
    parole che dici
    umane; ma odo
    parole più nuove
    che parlano gocciole e foglie
    lontane.
    Ascolta. Piove
    dalle nuvole sparse.
    Piove su le tamerici
    salmastre ed arse,
    piove sui pini
    scagliosi ed irti,
    piove su i mirti
    divini,
    su le ginestre fulgenti
    di fiori accolti,
    su i ginepri folti
    di coccole aulenti,
    piove su i nostri volti
    silvani,
    piove su le nostre mani
    ignude,
    su i nostri vestimenti
    leggeri,
    su i freschi pensieri
    che l'anima schiude
    novella,
    su la favola bella
    che ieri
    t'illuse, che oggi m'illude,
    o Ermione.

    Odi? La pioggia cade
    su la solitaria
    verdura
    con un crepitio che dura
    e varia nell'aria secondo le fronde

    più rade, men rade.
    Ascolta. Risponde
    al pianto il canto
    delle cicale
    che il pianto australe
    non impaura,
    né il ciel cinerino.
    E il pino
    ha un suono, e il mirto
    altro suono, e il ginepro
    altro ancora, stromenti
    diversi
    sotto innumerevoli dita.
    E immensi
    noi siam nello spirito
    silvestre,
    d'arborea vita viventi;
    e il tuo volto ebro
    è molle di pioggia
    come una foglia,
    e le tue chiome
    auliscono come
    le chiare ginestre,
    o creatura terrestre
    che hai nome
    Ermione.

    Ascolta, Ascolta. L'accordo
    delle aeree cicale
    a poco a poco
    più sordo
    si fa sotto il pianto
    che cresce;
    ma un canto vi si mesce
    più roco
    che di laggiù sale,
    dall'umida ombra remota.
    Più sordo e più fioco
    s'allenta, si spegne.
    Sola una nota
    ancor trema, si spegne,
    risorge, trema, si spegne.
    Non s'ode su tutta la fronda
    crosciare
    l'argentea pioggia
    che monda,
    il croscio che varia
    secondo la fronda
    più folta, men folta.
    Ascolta.
    La figlia dell'aria
    è muta: ma la figlia
    del limo lontana,
    la rana,
    canta nell'ombra più fonda,
    chi sa dove, chi sa dove!
    E piove su le tue ciglia,
    Ermione.

    Piove su le tue ciglia nere
    sì che par tu pianga
    ma di piacere; non bianca
    ma quasi fatta virente,
    par da scorza tu esca.
    E tutta la vita è in noi fresca
    aulente,
    il cuor nel petto è come pesca
    intatta,
    tra le palpebre gli occhi
    son come polle tra l'erbe,
    i denti negli alveoli
    son come mandorle acerbe.
    E andiam di fratta in fratta,
    or congiunti or disciolti
    e il verde vigor rude
    ci allaccia i melleoli
    c'intrica i ginocchi)
    chi sa dove, chi sa dove!
    E piove su i nostri volti
    silvani,
    piove su le nostre mani

    ignude,
    su i nostri vestimenti
    leggeri,
    su i freschi pensieri
    che l'anima schiude
    novella,
    su la favola bella
    che ieri
    m'illuse, che oggi t'illude,
    o Ermione.

    Spiegazione
    “La pioggia nel pineto” è una tra le più belle poesie di D’Annunzio. E’ rivolta alla donna amata, Ermione. La scena si svolge in un bosco, nei pressi del litorale toscano, sotto la pioggia estiva. Il poeta passeggia con la sua donna, Ermione e la invita a stare in silenzio per sentire la musica delle gocce che cadono sul fogliame degli alberi. Inebriati dalla pioggia e dalla melodia della natura, il poeta e la sua donna si abbandonano al piacere delle sensazioni con un’adesione così totale che a poco a poco subiscono una metamorfosi fiabesca e si trasformano in creature vegetali.
    La poesia è ricca di enjambement e similitudini. Le rime sono libere e sono presenti molte onomatopee.

    Spiegazione dei versi
    Taci (il poeta si rivolge a Ermione). Sulle soglie del bosco non sento parole umane; ma sento parole più nuove, suoni prodotti dalle prime gocce di pioggia sulle foglie. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove sugli arbusti in riva al mare, piove sui pini con la corteccia ruvida, piove sui mirti divini (nell’antichità era sacro a Venere), sulle ginestre spendenti grazie ai fiori ora rinchiusi per la pioggia, sui ginepri folti di bacche profumate, piove sui nostri volti che sembrano diventare elementi della selva, piove sulle nostre mani, sui nostri abiti leggeri, sui freschi pensieri che l’anima nuova schiude, sulle illusioni della vita e dell’amore che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione.

    Senti? La pioggia cade sul fogliame con un crepitio che dura e varia nell’aria a seconda delle chiome degli alberi. Ascolta. Risponde alla pioggia il canto delle cicale che il pianto dell’austro (vento del sud) non impaurisce neanche il cielo grigio. E il pino ha un suono, e il mirto un altro suono, e il ginepro un altro ancora, gli alberi sembrano degli strumenti musicali suonati dalla pioggia. E noi siamo immersi nello spirito della selva (il poeta e la sua compagna si sentono penetrati dalla vita vegetali: è incominciata la loro metamorfosi), come gli alberi; e il tuo volto inebriato di felicità è tutto bagnato come una foglia, e i tuoi capelli profumano come le chiare ginestra, o creatura terrestre che hai nome Ermione.

    Ascolta, ascolta. Il canto delle cicale a poco a poco viene sovrastato dalla pioggia che cade più fitta; ma un canto vi si mescola più roco che sale, nell’umida ombra lontana. Più sordo più fioco diventa più debole e poi sparisce. Non si sente il suono del mare. Si sente il crosciare della pioggia sugli alberi che purifica il croscio che varia secondo la grandezza della chioma dell’albero. Ascolta. La cicala è muta; ma la figlia del fango, la rana canta nell’ombra più fonda, chi sa dove, chi sa dove! E piove sulle tue ciglia Ermione.

    Piove sulle tue ciglia nere, tanto che sembra che stai piangendo ma di piacere; sembra che tu esca dalla corteccia. E tutta la vita è in fresca aulente, il cuore è come una pesca non ancora colta, tra le palpebre gli occhi sono come delle sorgenti, i denti nelle gengive sono come mandorle acerbe.

    E andiamo da una macchia all’altra tra gli arbusti o abbracciati o disciolti (e gli sterpi aggrovigliati ci impediscono il movimento alle caviglie) chi sa dove, chi sa dove! E piove sui nostri volti che sembrano diventare elementi della selva, piove sulle nostre mani, sui nostri abiti leggeri, sui freschi pensieri che l’anima nuova schiude, sulla illusioni della vita e dell’amore che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione.



    D'annunzio, Gabriele - La sera fiesolana
    Testo, commento e parafrasi della lirica La sera fiesolana, tratta da Alcyone di Gabriele D'Annunzio

    La sera fiesolana
    Fresche le mie parole ne la sera
    ti sien come il fruscío che fan le foglie
    del gelso ne la man di chi le coglie
    silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta
    su l'alta scala che s'annera
    contro il fusto che s'inargenta
    con le sue rame spoglie
    mentre la Luna è prossima a le soglie
    cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
    ove il nostro sogno si giace
    e par che la campagna già si senta
    da lei sommersa nel notturno gelo
    e da lei beva la sperata pace
    senza vederla.

    Laudata sii pel tuo viso di perla,
    o Sera, e pè tuoi grandi umidi occhi ove si tace
    l'acqua del cielo!

    Dolci le mie parole ne la sera
    ti sien come la pioggia che bruiva
    tepida e fuggitiva,
    commiato lacrimoso de la primavera,

    su i gelsi e su gli olmi e su le viti
    e su i pini dai novelli rosei diti
    che giocano con l'aura che si perde,
    e su 'l grano che non è biondo ancóra
    e non è verde,
    e su 'l fieno che già patì la falce
    e trascolora,
    e su gli olivi, su i fratelli olivi
    che fan di santità pallidi i clivi
    e sorridenti.

    Laudata sii per le tue vesti aulenti,
    o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
    il fien che odora!

    Io ti dirò verso quali reami
    d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti
    eterne a l'ombra de gli antichi rami
    parlano nel mistero sacro dei monti;
    e ti dirò per qual segreto
    le colline su i limpidi orizzonti
    s'incúrvino come labbra che un divieto
    chiuda, e perché la volontà di dire

    le faccia belle
    oltre ogni uman desire
    e nel silenzio lor sempre novelle
    consolatrici, sì che pare
    che ogni sera l'anima le possa amare
    d'amor più forte.

    Laudata sii per la tua pura morte
    o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
    le prime stelle!


    Questa poesia, composta nel 1889, descrive una sera di inizio giugno. È divisa in tre strofe, che descrivono in tre quadri diversi, i tre momenti della sera (la fine del pomeriggio, la sera, e l’inizio della notte). Leggendo l'opera si percepisce la presenza di due figure: una maschile, rappresentata da un uomo che coglie le foglie di un gelso, e una femminile, l’amante del poeta, a cui D'Annunzio si rivolge durante tutta la poesia.

    Parafrasi

    Le mie parole siano per te fresche come il fruscio che fanno le foglie del gelso nella mano di chi le sta raccogliendo silenziosamente,
    e ancora indugia lentamente nel lavoro sull'alta scala che a poco a poco si scurisce appoggiata all'albero che diventa color argento con i suoi rami spogli,
    mentre la luna è vicino all'orizzonte ancora azzurro e sembra che davanti a sé distenda un velo dove il nostro sogno d'amore giace (si rivolge all’amata).
    E sembra che già la terra si senta sommersa da lei nel freddo notturno e da lei assorba lo sperato refrigerio senza vederlo (la rugiada). (notate le analogie,
    le allitterazioni 'fanno – foglie – fresche – fruscio', l’uso dei colori 'la scala, il gelso'
    e la personificazione della luna).
    Che tu sia lodata per il tuo viso del colore della terra, o sera,
    e per i tuoi grandi occhi umidi dove viene raccolta l'acqua del cielo.
    Le mie parole ti siano dolci (si rivolge all’amata) nella sera come la pioggia che bruiva (un verbo di derivazione francese che significa frusciare, è collegato al fruscio delle foglie presente nella prima strofa) tiepida e fuggitiva (la pioggia fuggitiva è una citazione di un verso di Leopardi) congedo lacrimoso della primavera.
    Ma sui gelsi, sugli olmi, sulle viti e sui pini, dai nuovi germogli rasati (rosei diti, è una personificazione) che giocano con l'aria che svanisce, e sul grano che non è ancora biondeggiante (maturo) e non è più verde (germoglio) e sul fieno che è già stato falciato (patì la falce, è una personificazione, D'Annunzio vuol far capire che la natura soffre se l'uomo fa violenza contro di lei) e per questo cambia colore, e sugli olivi, sui fratelli olivi (quest'umanizzazione è un richiamo al cantico delle creature di San Francesco), che fanno le colline argentee e sorridenti con la loro sacralità.
    Che tu sia lodata per le tue vesti profumate (la vegetazione), o sera, e per la cintura che ti cinge (la linea dell'orizzonte) come il ramo di salice cinge il fieno odoroso (in passato i rami di salice erano usati per legare le balle di fieno).
    Io ti dirò verso quali reami d'amore il fiume Arno ci chiamò, le cui fonti eterne all'ombra degli alberi antichi parlano del sacro mistero dei monti e ti dirò a causa di quale segreto (questa segreto è l'amore) le colline si incurvano sugli orizzonti limpidi come labbra chiuse per un divieto (il divieto di dire il segreto) e perché la volontà di svelarlo le faccia belle oltre ogni desiderio umano, e nel silenzio loro, sempre nuove fonti di consolazione, così che sembri che ogni sera l'anima le possa amare di un amore sempre più forte.
    Che tu sia lodata per il tuo naturale finire, o sera, per l’attesa (della notte) che in te fa a luccicare le prime stelle (quest'ultima strofa è un forte richiamo alla speranza, infatti nel panismo la morte non è la fine, semmai può essere un nuovo inizio poiché tutto può avere vita in un'altra forma).

     
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2 replies since 24/3/2013, 15:03   683 views
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